Jenny Rombai

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intervista di A.R. in occasione del No Theater Festival, Certaldo, settembre 2015
Ciao Jenny, cominciamo dal modo in cui approcci il tuo pubblico…

Prima di entrare in scena li ascolto, cerco di entrare nella loro dimensione, ascolto che rumori fanno, se sono agitati o se stanno zitti zitti, cerco di instaurare questa atmosfera di ascolto reciproco. Con il pubblico condividi il momento scenico, che è uno dei momenti più intensi della nostra vita, diverso da quelli banali. Per me la scena è questo, un momento che rende la vita più grande, in cui la vita perde la sua banalità. Un’esperienza che condividono tutte le persone presenti in quell’occasione, artista e pubblico, e che facilita lo scambio. Sono abbastanza preoccupata per come vedo evolvere questo continente in questo momento, ed è soprattutto una preoccupazione di perdita di sensibilità, perché riceviamo molta informazione, che ci arriva “precotta” e a ripetizione: è tutto piatto, le persone si disabituano alla ricerca… per me una delle missioni dello spettacolo dal vivo è di risvegliare questa sensibilità

Avverti quando l’emozione arriva al pubblico forte e precisa ?

Ogni spettacolo, ogni momento, ogni pubblico è diverso… lo spettacolo che sto proponendo adesso è una creazione nuova, che si spinge molto nella ricerca. Ho debuttato in Francia questa estate, sono esibita davanti a un pubblico di giovani alternativi, poi in un tendone a Chalon, e ha funzionato bene. Ero molto felice, perché è una proposta che prende dei rischi: non è lo spettacolo che portavo in strada per 10 anni, dove so perfettamente come coinvolgere il pubblico… ero stanca di fare le stesse cose… qui al No Theater Festival è stato molto difficile, e anche gli amici mi hanno detto che non posso bestemmiare in scena, che non posso dire “porca puttana”, ma a me le puttane sono simpatiche! In ogni caso la sfida è sempre capire chi hai di fronte… perché è una proposta che vuole provocare, risvegliare domande, rimettere in questione valori cui siamo abituati ad appoggiarci

In genere quando fai uno spettacolo che tipo di comunicazione preferisci passi al pubblico prima di poter assistere allo spettacolo? cerchi un controllo totale sulla comunicazione?

No, non controllo, ho lasciato perdere… ho smesso di arrabbiarmi se mi presentano in un modo che non mi corrisponde appieno!! A volte i programmatori spingono molto su queste presentazioni per attirare il pubblico, però alla fine non sono sicura di quanto spesso il pubblico legga tutte queste informazioni, di quanto queste lo influenzino. Qui è stato molto bello con gli organizzatori de I Macelli, sono proprio appassionati, anche i tecnici…appena ti trovi con uno motivato, wow… ci sono festival in cui non incontri nemmeno gli organizzatori!! Qui sono stati molto bravi, perché hanno riportato un testo che ho scritto io… l’hanno proprio ripreso…a volte diventa difficile quando l’organizzatore scrive quello che gli pare, ma credo faccia parte delle sue libertà…

 

E cosa cambia quando sei seduta con il pubblico, da spettatrice? le emozioni sono diverse?

Cambia tutto! è l’altro che fa la proposta e io lo seguo. Non mi sento pubblico, il mio sguardo risente di tutto quello che conosco, è un sguardo diverso rispetto a qualcuno che sa meno. Mi ritrovo che non rido quando li altri ridono, o rido quando non ride nessuno, o applaudo quando gli altri non lo fanno, sono cose che mi accadono spesso…quando lo spettacolo mi piace sono contenta… a volte invece sento come una compassione per l’altro, quando sta andando proprio male…mi dico “oh poverino… il pubblico non conosce l’adrenalina che vive l’artista…si, certo, puoi commuoverti per qualcosa, ma non è mai la stessa cosa.
A volte preferisco gli spettacoli amatoriali, perché vedo che gli artisti in scena sono totalmente coinvolti e mi commuovono di più di un professionista, che magari ha un giornata brutta e fa lo spettacolo inserendo il pilota automatico. Tutto funziona agli occhi del pubblico, però io lo vedo che non c’e’… e questo mi annoia; dico “ok sei bravo, lo fai da 30 anni, l’hai fatto preciso bene bravo”, ma non mi emoziona.
Poi certo quando vedo gente che fa proprio quello che faccio io mi emoziono tanto… se so di un bravo artista che fa il filo molle vado a vederlo… poi se non mi piace dico “noooooo, merda, ha fatto un disastro col filo molle e non va bene…ora tutti si annoieranno col filo molle!”
Conosci tutte le strategie, c’è più analisi, ti fai domande che il pubblico in genere non si pone. Ma mi me piace anche guardare uno spettacolo senza attivare tutti questi filtri, viverlo più liberamente.

Scegli il tuo pubblico o sei pronta a incontrare tutti i pubblici?

A me piace molto incontrare tutti i pubblici diversi, certo…mi piacerebbe che tutti possano accedere allo spettacolo, però non voglio che sia un momento leggero, tutto all’insegna della felicità… parto anche da questa considerazione: cosa mi piace vedere quando sono anche io parte del pubblico? A me piace anche quando piango, o quando qualcuno mi sbilancia da quello cui sono abituata, quando qualcosa mi colpisce, o mi fa un effetto in ogni caso. Al momento il mio nuovo spettacolo è ancora un work in progress, e anche questo fatto di parlare in una lingua diversa da quella del pubblico, in modo in cui si utilizzano le parole, è una storia lunga, anche culturalmente, a cui mi interessa lavorare.
Ma più che pubblici sono i contesti che contano. Ci sono situazioni in cui non vorrei trovarmi, tipo la fiera con la giostra, o la banda fragorosa che passa lì vicino mentre sei in scena, il tram che passa dietro… o nel supermercato in cui ti dicono anche cosa devi fare… ci sono situazioni che sono una sofferenza scenica di sicuro, e quello non è bello per nessuno, né per il pubblico né per l’artista…

Ci racconti uno tra i tanti spettacoli che hai fatto che ti ricordi ancora, che ti ha colpito per questa empatia con il pubblico, per questa comunicazione, che ti ha emozionato? dov’eri? e perché lo ricordi ancora?

La maggior parte degli spettacoli li ho fatti per strada e la strada e’ piena di situazioni eccezionali, credo che i momenti più forti siano lì… ah si mi ricordo! Nel tendone di El Grito a Pennabilli. Quando cominciai il numero ci fu una tempesta fuori e andò via la luce. C’erano solo le lucette di emergenza e io stavo lì in alto sul filo. Tutto buio, si sentiva la tempesta di pioggia che batteva sullo chapiteau, e noi tutti sott’acqua, sembrava stessimo in un sottomarino, ed è stato un momento in cui ho sentito fortissimo il pubblico. Ho sentito molto forte lo stare tutti lì, non so cosa hanno vissuto le persone… io continuavo il mio numero sul filo, con le lucette basse, e dopo un pò mi si abituano pure gli occhi. Ma comunque tutto il pubblico era rimasto al suo posto, é stato super speciale… anche una volta per strada si è messo a piovere proprio nel mezzo al numero, io, il filo e la gente, tutti sotto la pioggia, nessuno si muoveva… in questi momenti in cui accade l’imprevisto diventa più forte il legame…

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