Osvaldo Carretta

di Stefano Corrina

Il primo contatto con il mondo del circo contemporaneo avvenne, in qualità di spettatore con il Cirque Bidon quando ero ancora ventenne, parlo del 1979. Prima di quel momento, sempre come spettatore, avevo assistito a spettacoli teatrali. Mi riferisco sempre alla seconda metà degli anni ’70, erano per me gli ultimi anni delle superiori, ebbi la fortuna di assistere a spettacoli di artisti del calibro di Dario Fo, Edoardo de Filippo, Umberto Orsini, Beppe Barra. In quegli stessi anni iniziavano, a poca distanza da casa, i primi festival di Santarcangelo, ed anche lì fu per me, occasione di incontrare quelle che furono le prime ravvisaglie di un nuovo modo di fare teatro, in strada.

Da spettatore mi colpiva moltissimo la forza di un artista di coinvolgere tante persone, di tenerle, con il fiato sospeso… c’era una forte curiosità verso questo mondo che ritenevo ancora lontanissimo da me… non pensavo che un giorno sarei potuto diventare artefice o autore di un evento…

Poi ci fu questo incontro magico con il Cirque Bidon che si piazzò a 200 metri da casa mia Fermignano, vicino ad Urbino, dove abitavo ancora con i miei genitori (era il 1979) e conobbi questa nuova realta’ che stava nascendo, proprio i pionieri di quello che sarebbe diventato poi, il circo contemporaneo… All’epoca frequentavo l’Isef, per diventare insegnante di educazione fisica, e nemmeno lontanamente avrei pensato che un giorno sarei entrato a far parte di quella esperienza. Evidentemente quella magia mi colpì, come una sorta di virus contagioso che si mantenne in stato di incubazione e per poi esplodere un po’ di anni dopo… In quella occasione, tutte le sere ero a vedere il loro spettacolo, li conobbi, restavo a mangiare con loro, passavo a trovarli durante il giorno. Fu per me il primo contatto con questo mondo che non capivo neanche a cosa potesse corrispondere… Era un periodo in cui si cercava l’utopia e io la vidi passare con quei carrozzoni e quei cavalli… Mi emoziono ancora a pensarci.. Poi, dopo tredici anni, per caso, o per gioco, mi ritrovai a esibirmi ed iniziare a fare spettacolo….

La prima volta che mi esibii, fu buffo. Mi trovai di fronte questa massa di persone, senza aver avuto nessun tipo di formazione e di studio di tipo teatrale, ne circense, ma nello stesso tempo mi sentivo addosso una sorta di serenità che mi faceva pensare “io sono qui (sulla scena..), voi siete li’ (seduti a guardare..) quindi il passo, io l’ho fatto”. Ovviamente il passo che stavo facendo era nella direzione del cambiamento che stavo imprimendo alla mia vita, verso qualcosa di nuovo, verso la dimensione magica del mondo dello spettacolo…
Poi in seguito iniziai una formazione, corsi e scuole di teatro prima, di circo poi, cercando tutto quello che sarebbe potuto servirmi per apprendere, studiare, comprendere su come stare in scena.

Il pubblico?!?… Non è facile riuscire a definire la relazione con il pubblico… Il pubblico è qualcosa di imprescindibile, di assolutamente necessario, in qualche maniera lo scopo dello spettacolo. Creare una relazione di intimità, sorprendere e farsi sorprendere, cercare di produrre il sorriso e la risata. Per quanto mi riguarda, quello che cerco con il pubblico è di produrre una meraviglia, non tanto per le poche (o tante) abilità che metto in mostra, piuttosto per i paradossi e le assurdità che si vengono a creare proprio in questa relazione. E la meraviglia è anche la mia, quella di sorprendermi per la meraviglia che produco. Poi in strada il pubblico ha questa particolarità di essere molto variegato, di essere composto da diverse fasce di età, da diverse estrazioni sociali e culturali, da diverse provenienze geografiche. Ed ogni volta che mi esibisco questa diversità mi arricchisce, mi gratifica, mi rende felice.

Nel mio nuovo spettacolo, “Osvaldo e il suo Doppio”, fresco di prima nazionale, sto cercando di far conciliare la leggerezza della risata e del divertimento con temi di maggior profondità, quali la relazione con le mie radici e con mio padre, e quanto di questa relazione è entrata a far parte di Osvaldo, il pagliaccio che rappresento. Ovviamente è una scommessa appena iniziata.

Episodi in cui qualcuno del pubblico che assiste ad un mio spettacolo poi diventa mio amico e addirittura con cui condivido pezzi importanti della mia vita ce ne sono stati. Per esempio Chiara Bedeschi assiste ad una delle mie primissime esibizioni, ci conosciamo due anni dopo da quello spettacolo e decidiamo di collaborare. Nasce la coppia artistica Osvaldo e Mimì. Un altro incontro molto importante con una persona che ha fatto parte del pubblico durante un mio spettacolo è quello con Salvatore Frasca. Lo spettacolo era all’interno di una delle prime edizioni di Ibla Busker’s, ma anche in quell’occasione la conoscenza con Salvo avvenne solo un paio di anni dopo. Con lui la collaborazione è stata nel condividere la convivenza, per dieci anni, nello spazio di residenza artistica che poi è diventato Porto Banana. Poi, sì, ci sono stati moltissimi altri incontri con altri artisti che in qualche modo sono stati preceduti dall’essere stati uno spettatore dell’altro e viceversa, così come incontri con persone che non facevano parte del mondo dello spettacolo.

Il pubblico non è sempre uguale, ci sono differenze tra il pubblico di un festival, quello che si può incontrare in strada facendo cappello, quello che va a teatro, così come ci sono differenze tra le diverse latitudini della penisola o del mondo. Di base c’è una differenza di disponibilità all’ascolto, poi se riesci ad attraversare la corazza di schermo e ad instaurare una relazione di intimità le differenze svaniscono e il pubblico diventa tutto uguale ovunque. E’ compito del pagliaccio quello di usare un linguaggio universale che attraversi tutte le diversità, culturali, sociali, economiche e di età.

Continuare ad essere anche spettatore è assolutamente necessario per poter continuare ad evolvere e per poter accogliere sempre nuovi stimoli di ricerca. Da un lato come pubblico sono diventato più esigente, faccio più fatica a sorprendermi, per contro cerco sempre di togliermi il giudizio di dosso e di restare nell’ascolto il più aperto possibile.

Penso che la relazione tra spettatore e attore sia qualcosa di antico, di arcaico, di primitivo, è qualcosa che appartiene alla storia dell’umanità, legata al bisogno di sentire qualcuno che racconti una storia ed al bisogno di qualcuno di raccontare una storia. Per questo penso che oggi più che mai ci sia bisogno dello spettacolo dal vivo, per continuare a ricordare le nostre radici.

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