Astley' Place Blog

A cura di Raffaele De Ritis

CENTRI DI PRODUZIONE? - L’invenzione più antica della storia del circo

articolo pubblicato su Juggling Magazine, n. 96, settembre 2022

 

Se l'idea di “centro di produzione” può avere un antenato, forse l'idea è proprio legata al primo uso della parola “circo” della storia moderna nel 1782, a Londra, pochi anni dopo l'atto pionieristico di Philip Astley. Charles Dibdin, compositore di canzoni, e Charles Hughes, acrobata cavallerizzo (il primo allievo di Astley) in quell'anno si associarono per creare un centro stabile chiamato “Royal Circus - Accademia Equestre e Filarmonica”. Il progetto comprendeva una compagnia, un'orchestra, una scuola di danza e una di circo; corsi ludici per l'infanzia, una programmazione multidisciplinare di creazioni proprie e di ospitalità, e ovviamente produzioni di teatro-circo, curate da drammaturghi, registi, coreografi e compositori. Si, circa duecentocinquanta anni fa. Ricorda qualcosa? Pur non essendovi alcun “decreto ministeriale” che imponesse “la disponibilità di un tendone e di un teatro”, la platea del Royal Circus avvolgeva uno spazio in cui una pista di circo era affiancata da un palcoscenico, per ovviare ai vari formati. E fu con questa intuizione che il fondatore del circo moderno, Philip Astley (la cui prima invenzione si era chiamata “Amphitheatre of Arts”) sarà spiazzato, facendo entrare la parola “circo” nella storia dello spettacolo dal vivo. Un altro dettaglio importante: l'iniziativa nacque privatamente, senza contributi pubblici. re lo sguardo sulle tante dinamiche legate al tema della “Produzione”, pubblichiamo anche una testimonianza di Cordata FOR sulla loro singolare iniziativa e una di Filippo Malerba sulla sua visione ed esperienza come Direttor* di Produzione. 

Partiamo però subito da una precisazione di Giacomo Costantini, direttore artistico di SIC, uno dei quattro centri di Produzione di Circo riconosciuti dal MIC. “Il nome del nuovo articolo ministeriale 31-bis “Centro di Produzione di Circo” può trarre in inganno. Il Ministero con il nuovo articolo riconosce gli organismi dotati di un teatro e di uno chapiteau, capaci di effettuare almeno 120 rappresentazioni di proprie produzioni e di ospitarne minimo 30. Nel nuovo articolo non c’è alcun riferimento specifico a co-produzioni, residenze, sostegni alla creazione, scambi internazionali, etc. 

Ci tengo a mettere in chiaro ciò, perché ho l’impressione che si stia facendo confusione, soprattutto tra quegli artisti che sono stati in contatto con centri di creazione esteri. I nuovi “centri di produzione di circo” non hanno il compito - e, per certi aspetti, la possibilità - di intervenire in quella desolata terra di mezzo tra la fine del percorso di formazione e la creazione di uno spettacolo. Vanno invece a colmare un altro vuoto importante, nell’ambito della produzione di nuove opere e della circuitazione, fornendo nuovi strumenti ad organismi professionali e già abbastanza strutturati da poter soddisfare dei minimi di requisito impegnativi.” 

Per un modello di iniziativa istituzionale bisognerà aspettare dopo il 1920, con il sistema del circo Sovietico che tra gli anni '50 e '80 giungerà a perfezionare l'idea moderna degli “studi di creazione”: radice assoluta di metodo del “circo contemporaneo”. Negli anni '90 le più grandi imprese del circo industriale (Ringling Bros., Cirque du Soleil, Big Apple Circus), investono in propri centri di produzione come metodo creativo, e con risorse quasi sempre private. 

Oggi in Italia l'occasione è data da un modello un po' frettoloso venuto, più che dalle pulsioni degli artisti, dall'alto dei palazzi; il dispositivo non sembra articolare realmente una progettualità di politica culturale, fermandosi ai criteri per l'elargizione di risorse. Da una parte un'opportunità; dall'altra un ulteriore spostamento di prospettiva e di energie dal mondo della creazione a quello dell'amministrazione, e nuovi sostantivi importanti per continuare la pericolosa trasformazione da saltimbanchi a burocrati. Quanto fa bene che un'occasione venga da una volontà istituzionale e non da un'urgenza artistica? In che misura i parametri imposti corrispondono alle necessità effettive e ai pubblici di riferimento? Nell'istituire questi “centri di produzione”, sono stati compiuti studi, analizzati vuoti e bisogni? 

Ora comunque esistono. Sicuramente, da una parte istituzionalizzano e confortano il lungo percorso di alcune realtà virtuose. Dall'altra aprono a nuove occasioni e soggetti, dove la vocazione e il pedigree circensi saranno da scoprire. Quello che sicuramente è mancato è un accompagnamento del settore, in particolare verso le imprese di tradizione: forse quelle che oggi hanno più bisogno di strumenti per sopravvivere al presente. Speriamo almeno che, ai beneficiari, il nuovo strumento della collezione ministeriale prét à porter non vada troppo stretto, non corroda belle identità. 

IL CIRCO, UNA STORIA IN MUSICA

articolo pubblicato su Juggling Magazine, n. 95, giugno 2022

 

 

 Se per trovare le prime tracce del gesto acrobatico bisogna andare indietro di migliaia di anni, di fianco ad esso si scopre un’affascinante costante in quasi tutte le testimonianze. Che si tratti di contorsioniste ritratte in tombe etrusche, danzatori a cavalli in affreschi a Tebe, giocolieri dipinti in Egitto, manufatti precolombiani, Greci o Romani, l'artista di circo appare quasi sempre accompagnato da un musicista. Un flauto, una percussione, quasi che la “rottura” estrema del corpo e della legge di gravità debbano poggiarsi sulla melodia del suono. Continua così anche nel Medioevo, fino alle fiere del Rinascimento, quando per il circense la musica é anche una tecnica di sopravvivenza: si tratta infatti dell'unico modo per attirare l'attenzione del pubblico prima dell'esibizione. È forse da questi tempi lontanissimi che le famiglie di saltimbanchi, fino alle dinastie circensi di oggi, imponevano la 

 Quando due secoli prima nasce a Londra il circo moderno, sappiamo che il cavallo disegna il cerchio della pista; bene, al centro vi si trova una pedana di fortuna con un suonatore di piffero e uno di tamburo: l'”orchestra” é il primo investimento economico del sergente Philip Astley, fondatore del genere. I primi circhi equestri avevano una forte componente drammaturgica e narrativa, con intere orchestre e compositori specifici, che per buona parte dell'800 erano una seria concorrenza all'opera lirica. Lo stesso creatore moderno del termine “Circus”, Charles Dibdin rivale di Astley, era un famoso autore di canzoni e musiche. 

È noto come la matrice militare del circo abbia portato, oltre ai cavalli, alla suspence e alle uniformi, anche uno stile musicale molto preciso, quello della “banda”: del resto ottoni, fiati e percussioni erano le soluzioni più pratiche per farsi sentire ed emo

musipratica di almeno uno strumento musicale nella formazione dell'acrobata. Una esigenza che si ritroverà dopo il 1975 nella prima scuola di circo occidentale, fondata a Parigi da Annie Fratellini, artista di circo da quattro generazioni. 

 zionare sotto tendoni sempre più sterminati, circhi stabili ampi e le sfilate della troupe lungo le vie cittadine. Prima dell'invenzione della radio, l'arrivo del circo era l'unico modo per far conoscere canzoni e melodie nuove nei paesi più sperduti; o per formare una cultura pers i n o 

 della musica classica: anche le arie operistiche diventano infatti parte integrante del fascino circense. Le stesse origini popolari della musica afroamericana, (dal blues al charleston) saranno divulgate proprio dal circo, che in America aggregava orchestrine delle minoranze di colore come spettacolo annesso ai propri tendoni. 

Saranno poi i clown e gli acrobati a distruggere la cadenza militare della musica circense. L'integrazione degli strumenti e delle sonorità in numeri di equilibrismo, acrobazia e invenzioni comiche, iniziano dalla fine dell'800 a produrre invenzione e ricerca, in un tripudio folle che piacerà molto alle avanguardie e che anticipa l'anarchia dei cartoni animati e del teatro. All'alba del Novecento, l'”eccentrico musi

cale” diventa un vero e proprio genere ufficiale, e indefinibile, del circo e del varietà. 

Saranno i clown, con il loro dna di acrobati o giocolieri, a “distruggere” il rigore orchestrale della musica da circo, fino ad inventare nuovi strumenti, e renderla elemento creativo dello spettacolo. Il secolo scorso determina la divulgazione di forme musicali di massa: lo swing, le jazz-band, gradualmente modernizzano anche la musica di circo. Se per la maggior parte dei casi l'orchestra di circo resta pressoché accompagnamento, già dagli anni '50 e '60 i circhi più creativi compongono colonne sonore specifiche per le proprie produzioni, secondo i canoni del teatro musicale: come il Medrano a Parigi, Ringling negli USA, e nell'emergente circo Sovietico in Russia. Il primo circo attuale di creazione (con il quale nasce il termine di “nouveau cirque”) é dal 1975 quello francese dei Gruss, circensi e musicisti da remote generazioni. Nelle loro creazioni annuali, r e a l i z z a n o arran giamenti e partiture specifiche, a seconda del tema di spettacolo e del repertorio, con autori importanti. Lo stesso accade in Svizzera al circo Knie, o in Germania al Roncalli. Sono le tre matrici (oggi ancora vivacissime) che ispireranno la struttura artistica del Cirque du Soleil. 

Pop, rock, musica contemporanea entrano regolarmente sotto i tendoni, plasmando e definendo la performance fisica in una cultura sonora trasversale alle definizioni di contemporaneo o tradizionale. Si pensi alle creazioni equestri di Zingaro, in cui la sperimentazione sulle culture musicali etniche é imprescindibile dal virtuosismo in pista; o a quello che ha rappresentato negli anni '80 Archaos, con la cultura pop-metal (ma anche pionieri come Baroque o Plume). Oggi le tendenze restano fertili e diversissime. Matrici di ricerca come il Cnac hanno esplorato le sonorità della musica contemporanea; compagnie come Circa, Gandini o Cirkus Cirkor hanno stabilito incontri importanti tra la cultura operistica e il gesto circense del nostro tempo. Il Cirque du Soleil ha poi creato simbiosi vere e proprie tra il circo di creazione e la musica di massa, basti pensare solo al progetto “Love” con i Beatles. È poi da notare l'affermazione importante della musica tra le compagnie sotto tendone,

IL CIRCO TRA OSCAR E MEDAGLIE

Da dove viene questo rituale circense chiamato festival?
Come ha risposto nel tempo alle istanze di crescita, rinnovamento, salvaguardia? Come si è modificato o conservato? Che ruolo ha svolto e svolge ora nel panorama artistico, culturale e sociale? 

 Il pubblico entra, si accomoda accolto da una ricca scenografia di velluti rossi, sotto uno chapiteau o all’interno di un circo stabile. Davanti ad esso una pista circolare, un’orchestra; poi entra una figura in abito da cerimonia e annuncia lo spettacolo. Una serie variegata di numeri, della durata media di una decina di minuti, si alterna nella pista. Ma a differenza di un normale spettacolo, un’attenta giuria assegna punteggi e giudizi che poi determineranno vincitori e premiati. Gli artisti infatti non stanno dando una normale esibizione, ma sono convenuti apposta, per pochi giorni, da tutti gli angoli della terra, spesso con esibizioni mai presentate ancora in pubblico: acrobati, domatori, giocolieri, persino gli intermezzi dei clown gareggiano per gli stessi premi. È una esperienza usuale per chi frequenta questi eventi, ma una scoperta totale per chi, pur amando il circo, non li ha mai frequentati. 

 

UN MODELLO GLOBALE 

La nozione di concorso è generalmente legittimata nel mondo artistico. Vi sono premi prestigiosi e selettivi dedicati alla carriera dei singoli interpreti (danza, canto lirico, pianoforte); altri che riconoscono creazioni artistiche di spicco (cinema, teatro, arti visive); altri ancora che valorizzano attraverso “nomination” le varie categorie professionali nelle arti performative (gli Oscar al cinema, i Grammy in musica, i Tony Awards nel teatro). È dunque normale che anche il circo abbia i propri trofei. I festival sono un momento celebrativo, di aggregazione, un trampolino. E i premi sono un valore aggiunto fondamentale sia per la carriera degli artisti, che per il peso promozionale di chi sceglie di scritturarli. 

Il mondo del circo, sebbene quello in cui la performance appare maggiormente leggibile, è stato il più tardivo a istituire premi. I primi “festival” di circo appaiono a metà anni '50 in Spagna (con un precedente parigino), più che altro come scusa promozionale per presentare repliche di grandi  spettacoli di più settimane nei palazzi dello sport, con un premio finale. È però a Monte- Carlo, nel 1974, che su iniziativa del Principe Ranieri III (profondo conoscitore del circo) nasce il primo concorso “ufficiale”, con una giuria e un regolamento. Il modello è seguito pochi anni dopo dalle “Bourses Louis Merlin”: un concorso per giovanissimi che diventerà a breve il “Cirque de Demain”. Oggi la formula ha derivazioni praticamente in tutti e cinque i continenti: non esiste ormai un mese dell'anno in cui nel mondo non ci siano almeno un paio di festival circensi. Il format resta quello della presentazione di “numeri”, in media di 8 minuti. Pur se molte forme del circo attuale sono evolute verso creazioni più ampie, questa forma di sintesi resta efficace anche nei concorsi innovativi, come il Cirque de Demain. 

 

IL TEMA DELLA COMPETIZIONE 

Le giurie assegnano punti (in genere da 1 a 10) in due categorie di base: “tecnica” e “presentazione” (ad esse se ne aggiungono in alcuni festival altre, come “reazione del pubblico” o “innovazione”). Una media finale attribuisce oro, argento e bronzo. Ma con molte difficoltà. La maggior “imperfezione” dei festival di circo resta quella del confronto tra diverse discipline: uno stesso trofeo viene conteso tra un domatore di belve, un trapezista o un clown. E sulla base non di selezioni progressive, ma della scelta diretta degli organizzatori: sia tramite candidature, che per osservazione arbitraria del panorama, o su segnalazioni di impresari di fiducia, legati dunque al mercato (non di rado anche membri di giuria). Negli anni '70, la tv inglese tentò una diversa formula, il “Circus World Championship”, che per un periodo faceva gareggiare gli artisti solo tra categorie affini (risultò alla fine troppo complesso e selettivo). Importante è poi la pressione dei grandi “imperi” statali delle arti acrobatiche: nazioni come Cina, Russia, Corea del Nord, oltre ad avere compagnie a gestione pubblica sanno di controllare, o saper addirittura fabbricare ogni anno dal nulla, i fenomeni dalla più alta spettacolarità al mondo in fatto di circo. Possono pretendere membri in giuria, o “minacciare” future defezioni nel caso di un mancato podio. Ma non è solo con i Paesi dell'Est che capitano prossimità tra concorrenti e giurati. Del resto, in una comunità coesa come quella circense, sono i rapporti umani, lavorativi e familiari a creare il tessuto stesso. Altra possibile debolezza, è la circolazione delle giurie: non di rado, gli stessi membri si ritrovano in quasi tutti i festival del mondo. 

Questione ancor più delicata è quella dei premi: pur universalmente stabiliti in oro, argento, e bronzo, resta sempre imprevedibile stabilire quante statuette attribuire di ciascun metallo. Non sono rare situazioni in cui vengono proclamati quattro ori o sette argenti: alchimie spesso diplomatiche, comprensibili in un microcosmo globale in cui tutti hanno a che fare con tutti, che rendono però molto relativo il valore finale. Con i pro e i contro, consolidato universalmente in mezzo secolo, alla fine questo, sembra il sistema universale in cui tutti paiono essere a proprio agio: artisti, produttori, osservatori, e soprattutto le reti televisive, da cui spesso dipende gran parte del budget di un festival. 
La comunità del circo è sempre vivacissima nel dibattito attorno ai risultati di ogni competizione, e mai avara in critiche. Ma spesso si dimentica che il lavoro della giuria è delicato e soprattutto frutto di una democratica collegialità. Giudicare un numero di circo significa entrare in una logica di confronto, che inevitabilmente si gioca su più livelli, e nella quale non è sempre facile tenere conto della stratificazione di contesti.
Il primo è quello della competizione stessa: a un numero, un artista, va dato un punteggio rispetto agli altri presenti nella competizione. L'altro livello è il confronto di quell'artista rispetto alla comunità attuale della sua disciplina: qual'è lo standard di quel giocoliere rispetto agli altri in circolazione nel mondo?
Vi è poi il piano “storico”: se un numero supera parametri stabiliti nel passato, o se altri prima di lui hanno avuto quel premio. Vi è il livello dei record: a tale numero, se uno dei trick batte un primato, è ragione sufficiente per vincere un premio importante? Esiste poi il problema dell'errore: un numero vale lo stesso se una sera sbaglia qualcosa davanti alla giuria? C'è differenza tra l'errore emotivo e l'effettiva preparazione? Si giudica il circo su basi sportive o artistiche? Vi è infine, appunto, il criterio artistico dell'innovazione. Quanti giurati di circo hanno i parametri e l'apertura mentale sugli standard di creatività e innovazione nelle performing art? 

 

IDENTITÀ, COMUNITÀ, PUBBLICO 

Pur in quello che è ormai un “protocollo” standard, non di rado i festival hanno sviluppato loro identità: il Golden Circus (il più longevo in Italia) fu il primo a far votare il pubblico stesso; il Cirque de Demain punta su numeri inediti di creazione; a Latina emergono novità tali da nutrire lo stesso festival di Monte-Carlo; a Girona vengono presentati unicamente numeri in prima europea (con uno sguardo importante su terzo mondo e latinoamerica). E infine l'ultimo nato, il Salieri Award, lega la partecipazione alla creazione contemporanea su musica classica. 

Ma qualè il pubblico dei festival? Pur se legati a una territorialità evidente, la comunità di riferimento è quella fluida, internazionale del settore. A Monte- Carlo o a Parigi, in tendoni di 4000 posti capita che in alcune sere la quasi totalità sia composta di operatori ed artisti. E di fatto, anche l'atmosfera e le reazioni della platea diventano di segno diverso dal pubblico normale: sia per il grado di preparazione che per l'evidente elettricità e unicità dell'evento-concorso
È poi evidente che un festival di circo di successo diventi anche un simbolo della città ospitante, e nei casi migliori un veicolo turistico. In questo caso avviene anche una fidelizzazione del pubblico locale, e la biglietteria una fonte di introito determinante. Ma la grande comunità del pubblico dei festival, resta quello virtuale: per gli eventi più grandi domina la televisione, con milioni di spettatori nel mondo; per gli altri, i numeri sono quasi sempre accessibili attraverso i canali social. 

ISPIRAZIONE, MOBILITÀ, PATRIMONIO 

Un valore molto importante dei festival è infine quello dell'emulazione: i giovani artisti si ispirano ai numeri premiati. Con un'enorme visibilità nel settore (oggi appunto enfatizzata dal web) sia la creatività dei numeri che gli exploit presentati nei festival, insieme alla circolazione di culture diverse, sono da decenni la più forte propulsione in assoluto all'evoluzione del circo che esiste oggi. 
Bisogna pensare che negli anni '70 la mobilità artistica e sociale nel mondo circense aveva limiti rilevanti. Pur se la comunità circense era vivacissima e fluida tra i due emisferi (Europa, America, Australia, Sudafrica), il modello artistico dominante era quello occidentale, bianco, del varietà e delle dinastie circensi. Le uniche scuole di circo esistenti e accessibili erano quelle di Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia, Bulgaria e Romania che davano l'ossatura ai programmi di tutto il mondo, con contenuti spettacolari ma abbastanza uniformi. La sola scuola occidentale esistente, Etaix-Fratellini, era ancora poco consistente. La maggior parte della circolazione era legata ai numeri delle famiglie circensi, o di qualche scuola specialistica, come quella sudafricana (bianca) del trapezio. La Russia, la Cina e la Mongolia erano impenetrabili. Grazie a Monte-Carlo e al Demain, le nazioni comuniste iniziarono eccezionalmente a slegare alcuni artisti dalle proprie compagnie per inviarle ai festival. Il circo stava anticipando la Perestrojka. Questa circolazione di artisti generò gradualmente anche lo scambio di maestri, accompagnando la nascita e diffusione delle scuole; la diffusione dei festival in televisione (e poi la diffusione delle telecamere) portava ai giovani artisti di tutto il mondo tecniche e stili fondamentali per nutrire la crescita del circo attuale. 

Le piste dei festival, aperte ad ogni forma, avevano la libertà di rivelare realtà impensabili: i mimi-clown del teatro di strada, la dirompente scuola di Montreal, o i primi artisti afroamericani da Manhattan, preistoria del circo sociale. 
Infine il fenomeno dei festival è un'osservatorio sul patrimonio del repertorio: ha protetto e stimolato molte discipline circensi in via di sparizione; ha fatto conoscere al mondo discipline prima solo “locali” o minori (si pensi a cinghie, tessuti, ruota cyr); ha costituito un termometro nelle varie fasi storiche per evidenziare a seconda dei tempi e delle mode le tecniche dominanti, gli stili di tendenza, le scuole di pensiero. 

Guardando a ritroso quasi mezzo secolo, è davvero difficile pensare che il sistema-circo come esiste oggi (compagnie, scuole, insieme di tecniche e stili) e la sua identità globalizzata siano mai potuti svilupparsi senza l'esistenza dei festival. 

 

Articolo pubblicato su Juggling Magazine, n. 98, MARZO 2022

ACROBAZIE DELLA CREAZIONE 

Aspirazioni artistiche, pedagogie creative:  il circo é ancora spettacolo popolare? di Raffaele De Ritis

Quando nel 1974 Annie Fratellini presentò il primo saggio di una scuola di circo occidentale, uno degli aspetti principali era la mise en piste: l'insieme compositivo di gestualità, musica, costume, espressività scenica finalizzato a valorizzare l'exploit acrobatico. La mise en piste dava ai giovani allievi la preparazione e l'apertura artistica per confrontarsi in futuro, nel corso delle loro carriere, con registi e coreografi. La pioniera francese aveva imparato tra tendoni e roulotte, tra pista e palcoscenico di quattro generazioni, l'importanza per gli acrobati di convivere tra le quinte con musicisti, ballerini, attori. Dieci anni dopo, quando il Cirque du Soleil delle origini iniziò ad ampliare la propria compagnia, il regista Guy Caron (e direttore della scuola di Montreal), basò i programmi del tendone canadese in gran parte sugli allievi della Fratellini. E alla nascita del CNAC, il governo francese volle Caron come primo direttore della scuola. Oltre che regista, Guy Caron era un pedagogo, con un'esperienza del vocabolario acrobatico che spaziava da Budapest a Pechino. Nel 1990 la direzione del CNAC va a un uomo altrettanto geniale, Bernard Turin: non un uomo di circo ma uno scultore contemporaneo. Turin rivoluziona la pedagogia circense: inizia ad invitare registi con la nozione di rendere il saggio annuale di scuola un progetto drammaturgico compiuto, fino a porlo nel circuito. All'epoca,  la visione differiva in parte da quella di un altro gigante della formazione circense, Jean Rok Achard, che da Caron aveva ereditato la direzione della scuola di Montreal. Pur invitando registi alla scuola, Achard poneva la questione se un saggio dovesse diventare uno spettacolo, spingendosi anzi a dubitare la necessità di un direttore “artistico” in una scuola di circo. In gran parte é a questa linea del CNAC che negli anni Duemila, si deve il passaggio dalla definizione di nouveau cirque (rinnovamento che non presumeva un necessario distacco dalla tradizione precedente), verso il significato più radicale di circo contemporaneo. Un passaggio, se vogliamo, da un circo nuovo ma ancora figurativo, verso una costruzione concettuale. 

Il CNAC ha certamente dimostrato negli anni di raccogliere tali sfide con risultati suggestivi, e non per forza a discapito della performance. La linea storicizzata dal CNAC, di invitare creatori provenienti da altri mondi a dirigere i saggi spettacoli, si è diffusa nel circo attuale, divenendo un carattere delle compagnie di circuito, non solo francesi. Ciò in alcuni casi ha rivelato la fragilità generata dall'incontro di esperienze e metodi diversi. O ancora, l'ansia creativa ha sopperito a carenze acrobatiche. Prima che al circo, anche nel teatro lirico si é ricorso a creatori di avanguardia di altri mondi, spesso con limiti simili. Ma nel teatro lirico vigono limiti ferrei di virtuosismo e di repertorio, che riescono a fondare il dialogo tra i codici classici e la ricerca moderna. Nel circo invece la nozione di “scrittura” é una forma aperta. Oggi una gran parte della creazione e della formazione circense cede al fascino di una nozione ancora un po' empirica di “drammaturgia circense”, ma non sempre con una chiarezza di confini tra i linguaggi.

 Quanto può spingersi ad essere cerebrale un'arte spontanea come il circo? 

Nello scorso gennaio, il maggior quotidiano francese, Le Figaro, ha recensito lo spettacolo della 33esima promozione del CNAC con il titolo “L'elogio del brutto” (Promotion 2022 du Centre National des arts du cirque: l'éloge du moche, Le Figaro, 30-1-2022). Il giornale ha in passato avuto parole di lode per gli spettacoli del CNAC, così come nel recensire circhi più classici (sì: in Francia la stampa quotidiana é competente di circo, e segue con pari rispetto sia le forme di tradizione che quelle di ricerca). Questa volta però il verdetto di Francois Deletraz, un critico teatrale sempre attento al circo contemporaneo, appare duro. Il caso é interessante perché ci fa riflettere su un aspetto di tensione nelle evoluzioni della creazione circense: quello dei confini tra il virtuosismo acrobatico e l'espressività scenica. In questo spettacolo, la stessa regista chiamata quest'anno al CNAC, Séverine Chavrier (dall'élite dell'avanguardia teatrale istituzionale) dichiara palesemente l'intenzione estrema di voler “cancellare la performatività che ci si si aspetta dal circo”. Rinunciare cioé alla prodezza, la meraviglia, proprie ad ogni forma di circo. È un confine interessante? Oppure é ancora importante, come in qualunque arte, poter ancora riconoscere dei codici assoluti, un DNA del genere circo? Il critico si é dichiarato nel disagio di recensire “un'opera di teatro contemporaneo che volontariamente sceglie di dimenticare che gli artisti sono dei circensi”. Non abbiamo visto lo spettacolo e non sappiamo se essere d'accordo o no con il critico. 

Il CNAC ha certamente dimostrato negli anni di raccogliere tali sfide con risultati suggestivi, e non per forza a discapito della performance. La linea storicizzata dal CNAC, di invitare creatori provenienti da altri mondi a dirigere i saggi spettacoli, si è diffusa nel circo attuale, divenendo un carattere delle compagnie di circuito, non solo francesi. Ciò in alcuni casi ha rivelato la fragilità generata dall'incontro di esperienze e metodi diversi. O ancora, l'ansia creativa ha sopperito a carenze acrobatiche. Prima che al circo, anche nel teatro lirico si é ricorso a creatori di avanguardia di altri mondi, spesso con limiti simili. Ma nel teatro lirico vigono limiti ferrei di virtuosismo e di repertorio, che riescono a fondare il dialogo tra i codici classici e la ricerca moderna. Nel circo invece la nozione di “scrittura” é una forma aperta. Oggi una gran parte della creazione e della formazione circense cede al fascino di una nozione ancora un po' empirica di “drammaturgia circense”, ma non sempre con una chiarezza di confini tra i linguaggi. Anche in Italia, gli artisti di circo sembrano presi dalla smania della legittimazione nel salotto buono della “forma d'arte”: come se l'assimilarsi a teatro, danza e arti plastiche fosse una patente di nuova identità, ma forse a costo di tradire lo spirito della meraviglia non cerebrale e il pubblico popolare. Questo atteggiamento é anche nelle istituzioni. Su un altro grande quotidiano francese, Libération, quasi negli stessi giorni, il sociologo Fabrice Raffin evidenziava un paradosso: “quando le istituzioni si appropriano di forme dalla natura popolare, come il circo o le arti di strada, é per proporne una versione artisticizzata, legata alla logica di opera d'arte ma lontana dalle attese semplici del pubblico” (Libération, 14 febbraio 2022). 

In realtà esiste una buona parte della creazione contemporanea che riesce efficacemente a massificare le forme di circo d'arte, e ad esaltarne l'essenza acrobatica: se non si vuole scomodare il Cirque du Soleil (per alcuni ancora fermo alla nozione di “nouveau cirque”, senza la patente di “contemporaneo”, per altri paradossalmente “tradizionale”), si pensi almeno alle altre numerose compagnie canadesi o alle tendenze australiane, nelle quali la ricerca sofisticata non nega la presenza dell'exploit di alto livello né un'estetica accessibile; o ai risultati più attuali delle avanguardie ucraine e russe, in cui la fantasia dei coreografi più eleganti si esprime in un circo di massa; alla “scuola” di Franco Dragone, che concilia un rigore estetico di rara profondità con l'exploit più spettacolare; ma anche alla nuova generazione italiana di nuovi circhi sotto tendone: genuinamente popolari pur se appassionati nei tentativi di sperimentazione. 

Tanti anni fa in un’epoca oggi dimenticata, sempre sui giornali francesi, si cercava già di delineare i limiti critici della creazione circense. Era nel bel mezzo del Novecento, tra gli anni '20 e gli anni '50, con una guerra al centro. I tendoni e i circhi stabili francesi si mischiavano con il mondo del teatro e della rivista, con i registi, i coreografi, i compositori, gli attori, i danzatori. Sulle gradinate, in mezzo a bambini, nonni, operai e borghesi, c'erano Cocteau, Chagall, Picasso, Stravinski, Dalì. Assieme a loro, si sedeva una folta generazione di critici teatrali, che sui principali quotidiani e sulle riviste d'arte scenica stava inventando la critica circense. Il più giovane di essi era un romanziere di nome Tristan Rémy (in Italia conosciuto per i suoi testi sul clown), i cui manoscritti sono custoditi proprio al CNAC. In un suo articolo su Les Lettres Francaises, nel 1946, all'indomani della guerra, Rémy rifletteva sulle difficoltà identitarie del circo, con una conclusione: “Il circo non é nè di ieri, nè di oggi, è di sempre; che sia con i suoi cavallerizzi, i grotteschi clown, i ginnasti, non è mai stato così bene. Il circo è il rifugio sia della gente semplice che degli spiriti complicati. E la pista è ricca di risorse emotive che i palcoscenici non offriranno mai. Ma il circo ha bisogno, per vivere, dell'entusiasmo popolare. L'avvenire, che appartiene al popolo, restituirà al circo la propria ragion d'essere”. 

Era un'epoca indubbiamente diversa, ma che ha dato al circo i fondamenti, gli innovatori di genere e i fuoriclasse sulle cui spalle abbiamo costruito l'evoluzione di oggi. Era certo un tempo i cui gli acrobati erano ammirati da registi, pittori e musicisti d'avanguardia ma non avevano l'ambizione di diventare come loro per sentirsi creatori. Volevano solo, umilmente, creare meraviglia per tutti. 

 

Articolo pubblicato su Juggling Magazine, n. 94, marzo 2022

LA RIVINCITA DEL CERCHIO

LA RIVINCITA DEL CERCHIO

articolo pubblicato su Juggling Magazine, n. 92, settembre 2021

 

Il ritorno alla condivisione del circo dal vivo ha plasmato, forse inconsciamente, i confini delle caratteristiche circensi. Un'estate di transizione ha generato modalità ibride sia per il pubblico (all'aperto, al chiuso, distanziati) che per l'economia delle compagnie (tournée adattate, produzioni occasionali, cast incerti). Questo ha generato dubbi, insicurezze, ma anche innovazioni e forme inaspettate.

Due esempi sono riusciti in tutto questo a rimettere in discussione i linguaggi, per ricchezza espressiva e magnitudine. E si tratta delle due compagnie più antiche del mondo: Knie in Svizzera e Gruss in Francia. Sono due nuclei familiari giunti alla settima generazione di circo, con due caratteristiche in comune: la fedeltà al cerchio della pista (sono gli ultimi due caposaldi mondiali dell'arte equestre) e il gusto per l'avanguardia. Ed entrambi, nei loro Paesi, si sono avvalsi del titolo di Circo Nazionale. I Gruss nella Francia degli anni '70 inventarono il “circo di regia” e fondarono la prima scuola di circo occidentale al mondo, formando la prima generazione del “nouveau cirque”.

I Knie, per un intero secolo hanno anticipato nel mondo circense tutte le innovazioni e le discipline emergenti: l'attenzione alle scuole russe e cinesi, l'avvento del teatro fisico negli anni '70, o coproduzioni col Cirque du Soleil quando non lo conosceva nessuno. In questo 2021 entrambi hanno rimesso in discussione le forme ma ripartendo dai codici del circo, e adattandosi alle circostanze. La famiglia Gruss alla sua 48esima creazione ha rinunciato alla parola circo, optando per “Les Folies Gruss”: un'esperienza immersiva e partecipativa all'aperto, sotto le stelle di Beziers negli scorsi mesi (e ora a Parigi in un percorso sotto chapiteaux multipli). Il pubblico entra in un prato, mangia e beve su balle di fieno: un portico aereo é montato, gli artisti suonano, animano e volteggiano per un'ora in un'intimità riconquistata.

Ma é solo l'inizio: vengono poi fatti accomodare nell'enorme gradinata circolare. Qui, per un'altra ora, la simbiosi dei 24 artisti tra grande swing/jazz dal vivo, acrobazia equestre (50 cavalli), giocoleria, tecniche aeree, é insuperabile. In Svizzera, i Knie sono partiti per la loro 102esima (!) tournée con un tendone avveniristico, e una soluzione drastica: piena capienza con postazione di tampone gratuito per tutti. Qui la musica rock si fonde con le arti equestri, la tecnologia (due piste si muovono una sopra l'altra), esercizi del genere “brivido” (motociclette sulle teste del pubblico e piramidi umane sul filo, esorcizzando forse le ansie del lungo lockdown), comici teatrali. Sono entrambi spettacoli completamente esterni al circuito dei “programmatori” e delle sovvenzioni. Si muovono a proprio rischio col solo incasso, creano in maniera autonoma i loro rapporti con le città e le istituzioni culturali, in una miriade di attività con le comunità di riferimento:

Gruss ad esempio svolge negli anni cicli di seminari e pubblicazioni con l'Università di Avignone; Knie pianta il tendone nelle piazze dei teatri dell'opera di Ginevra o Zurigo. Entrambi gli spettacoli riescono a catalizzare duemila spettatori a replica, mettendo in discussione le aspettative e le barriere tra i tipi di pubblico. Forse il post-pandemia può servire anche a rigenerare la definizione di “contemporaneo”. Spesso molte tendenze stilistiche del circo di oggi tendono a diventare prevedibili, creando di fatto forme nuove di tradizione: si pensi alle emanazioni delle compagnie formate al Cnac o all'Esac; o alla riconoscibilità durevole della “scuola” canadese. Anche l'idea della frontalità teatrale del circo contemporaneo con la quarta parete, affascinante tradimento della pista, é diventata a suo modo una forma di tradizione. Invece, al contrario, l'esperienza realmente innovativa degli ultimi anni é forse proprio un ritorno alla natura circense del cerchio, con esso del tendone e verso forme drammaturgiche più immediate: si pensi alle ultime creazioni di Akoreakro, Aital (col ritorno all'arte equestre), e con essi naturalmente tutta la nuova generazione italiana di compagnie per le quali l'espressione “con tendone” sembra ormai un'orgogliosa affermazione di novità. Il pubblico che torna ad aver voglia di stare insieme ci indica forse che nella creazione contemporanea c'é la possibilità di un “prima” e di un “dopo”: in seguito al trauma collettivo di questi due anni, forse la novità non é tanto più in forme di creazione cerebrali, con simbologie da decodificare.

Il cerchio, che poi é la natura identitaria del circo, ci spinge verso l'energia collettiva, per la quale la creazione esige la spontaneità e soprattutto le modalità della festa. Nel nostro ritorno a vivere, le due compagnie circensi più durature del pianeta ci indicano come, passando per un secolo attraverso le principali innovazioni, sia possibile raggiungere quell'equilibrio in cui si tengono ben strette alcune basi (lo spazio scenico identitario, la trasmissione del sapere, il vocabolario tecnico, la musica) in modo da creare spazio alla ricerca. Quell'equilibrio che in ogni arte mette in sicurezza i codici per consentire di guardarsi intorno nel proprio tempo, e crescere sperimentando: condizione certa per potersi definire “contemporanei”.

In Svizzera, la 103esima edizione del Circo Knie é in tournée fino a tutto Dicembre. In Francia, lo spettacolo Les Folies Gruss verrà replicato a Parigi dal 18 Settembre 2021 a Marzo 2022.

 

CODICI CLASSICI PER RIGENERARE IL CONTEMPORANEO
knie.ch
folies-gruss.com
progettoquintaparete.it/astleys-place-home

 

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RAFFAELE DE RITIS

Raffaele De Ritis (1967) regista e storico attivo fin dagli anni ’80 in Europa e Stati Uniti. Ha creato spettacoli per Ringling-Barnum, Cirque du Soleil, Big Apple Circus, Franco Dragone, ed é consulente creativo di Disneyland Paris. Ha diretto David Larible, Arturo Brachetti, Raul Cremona, Aldo-Giovanni- Giacomo. E’ stato tra i pionieri del “Florilegio” Togni e della serie “Circo” di Raitre. Autore di numerosi saggi e opere sulle arti circensi e sull’illusionismo, tiene conferenze in tutto il mondo. Ha tenuto docenze all’Università La Sapienza e Tor Vergata, il CNAC, l’ESAC, Vertigo, ed é co-fondatore del Nouveau Clown Institute. E’ stato membro della commissione consultiva circo per il Mibact e presidente dell’Ente Manifestazioni di Pescara, dove nel 2007 ha fondato di “Funambolika – Festival Internazionale del Nuovo Circo”.   www.raffaelederitis.com

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