Astley' Place Blog

A cura di Raffaele De Ritis

CIRCO E LIRICA, due insospettabili gemelli

articolo pubblicato su Juggling Magazine, n. 62, marzo 2014

 

Niente forse é più arcaico e universale del gesto acrobatico e del canto. L’uno profano, l’altro più legato al sacro. Il circo e la lirica sono da sempre due forme più vicine di quanto non si pensi. Si basano sulla ricerca dell’estremo virtuosismo, l’eccesso a dismisura, l’esaltazione della meraviglia. Entrambi i generi coinvolgono un pubblico di massa senza barriere, conciliando tutte le arti come pretesto allo spettacolo puro. Circo e lirica sono storicamente due insospettabili gemelli. Nascono insieme, poiché la loro forma matura appare nello stesso momento: alla fine del XVIII secolo, all’alba della società industriale. Loro padre comune é il disordine anarchico degli spettacoli popolari; loro madre la rigidità della censura che prima o poi ha l’effetto di rendere ufficiale l’illegale. Nella seconda metà del Seicento, il teatro di fiera fa maturare spettacoli ibridi, a cui é vietato per legge l’uso della parola e della narrazione, per non contrastare i pochi tea- Allo stesso modo, anche a Londra le origini del circo e della lirica coincidono. Il Sadler’s Wells, aperto verso la fine del ‘600, era un luogo ibrido in cui si alternavano opere musicali, commedie e funamboli. È a uno stesso impresario, John Rich, che si devono sia la prima opera musicale moderna, The Beggar’s Opera di John Gay (1728), che, pochi anni prima, il battesimo del genere della pantomima (1716), al cui interno nasce presto la figura del clown. Questo mentre Philip Astley propone il primo circo equestre della storia (1768), presto maturato in un anfiteatro coperto dove architettura, drammaturgia, scenotecnica avvicinano la neonata arte circense ai codici dell’opera lirica. Nel primo ‘800, l’Astley Amphiteatre é uno dei tre più grandi teatri di Londra; uno di essi, il Covent Garden ancora oggi teatro d’opera, vede i successi di Joe Grimaldi, il primo clown moderno. Non dissimili le vicende a Paritri ufficiali privilegiati. Londra e Parigi sono i due grandi laboratori dello spettacolo moderno. Baracche di illusionisti, acrobati, mostratori di animali, farse mimate e cantate, impiegheranno oltre un secolo per maturare nei generi codificati fino ad oggi. Se l’arte lirica emerge inizialmente nei teatri di corte, lontano dal popolo, é frequente vedere nelle prime opere numeri acrobatici per animare gli intermezzi. Nelle fiere del ‘700, mimi e acrobati iniziano a inventare nuovi generi per contrastarli. Camminando sulle mani o sul filo, essi riescono a raccontare una storia senza incorrere in divieti; e anche l’uso del canto emerge come pratica fuorilegge. Non potendo parlare né cantare, gli artisti scrivono i versi su dei cartelli, che vengono letti cantando da finti spettatori in platea. Espedienti di questo tipo, nati nelle baracche, fanno nascere l’opéracomique, il genere in cui poi trionferanno Mozart e Rossini. 

Allo stesso modo, anche a Londra le origini del circo e della lirica coincidono. Il Sadler’s Wells, aperto verso la fine del ‘600, era un luogo ibrido in cui si alternavano opere musicali, commedie e funamboli. È a uno stesso impresario, John Rich, che si devono sia la prima opera musicale moderna, The Beggar’s Opera di John Gay (1728), che, pochi anni prima, il battesimo del genere della pantomima (1716), al cui interno nasce presto la figura del clown. Questo mentre Philip Astley propone il primo circo equestre della storia (1768), presto maturato in un anfiteatro coperto dove architettura, drammaturgia, scenotecnica avvicinano la neonata arte circense ai codici dell’opera lirica. Nel primo ‘800, l’Astley Amphiteatre é uno dei tre più grandi teatri di Londra; uno di essi, il Covent Garden ancora oggi teatro d’opera, vede i successi di Joe Grimaldi, il primo clown moderno. Non dissimili le vicende a Parigi: il Cirque Olimpique dei Franconi (eredi parigini di Astley), fa concorrenza all’Opera, ispirandosi allo stesso patrimonio mitologico e letterario in cui pescava la lirica; fino a trasformarsi dopo il 1847 nel Theatre du Chatelet, ancora oggi il secondo teatro lirico di Parigi. Nel 1843 a Londra il Theatre Regulation Act liberalizza gli spettacoli popolari; così come nel 1865, a Parigi il decreto sulla libertà dei teatri ne ufficializza ogni forma. Sono trascorsi due secoli di ingegno e sopravvivenza. L’espansione delle classi medie vede finalmente nel circo e nell’opera i due templi in cui liberare l’immaginazione: le produzioni circensi e operistiche permettono di viaggiare nelle lontane colonie, vivere le vicende di guerrieri e divinità del mondo antico. La farsa e la tragedia si alternano nel melodramma operistico come nel reale rischio del circo. In Italia, i teatri d’opera hanno ospitato regolarmente le compagnie acrobatiche. Il Teatro Argentina di Roma (in origine a vocazione lirica) sembra ospitasse scuderie sotterranee per le compagnie equestri. La prima scuola di circo occidentale, quella di Annie Fratellini, già dagli anni ‘70 vede i propri allievi regolarmente coinvolti nelle regie dell’Opera di Parigi; acrobati e mimi sono regolarmente richiesti da registi lirici di tutto il mondo. Se “I Pagliacci” di Leoncavallo é l’opera a tema circense per antonomasia (con puntuale impiego di acrobati e mangiafuoco), l’immaginario del tendone e degli acrobati ha spesso dato vita a regie e scenografie per titoli; Dario Fo ha coinvolto clown e acrobati nel suo “Barbiere di Siviglia”. In epoca recente, allievi della scuola Flic hanno partecipato alla Turandot al Teatro alla Scala nel 2011, con la regia di Giorgio Barberio Corsetti; quasi ogni edizione dell’”Aida” all’Arena di Verona vede puntualmente il talento equestre della famiglia Togni; la scuola Cirko Vertigo é apparsa in “Thais” di Massenet al Regio di Torino (2008) per la regia di Stefano Poda, in un’integrazione esemplare tra lirica e arti circensi. Il Teatro Pergolesi di Jesi ha ambientato nel mondo circense l a “Serva Padrona”. C’è poi Daniele Finzi Pasca, regista formatosi nel circo, la cui firma appare in sempre più opere nel mondo. Di recente, il Massimo di Palermo ha coinvolto clown e acrobati nel Feuersnot di Strauss diretta da Emma Dante; e a Busseto l’Elisir d’Amore di Donizetti si ispira ai quadri circensi di Botero, coinvolgento acrobati come i Nanirossi. Ed é proprio all’interno di un ente lirico, il Regio di Torino, che la rassegna Torinodanza é diventata in Italia una vetrina circense. In fondo, i cavalli di Bartabas su scene sacre come il Regio di Torino, lo Chatelet e il Sadler’s Wells di Londra, non fanno altro che richiamarsi ai tempi senza leggi né generi di Astley e Franconi, inseguendo il cerchio della modernità iniziato da quasi tre secoli. 

 

AIDA

regia di Franco Dragone

 

“Mi do sempre uno scopo. Un giorno ho lasciato la prosa classica per fare un teatro più politico. Vengo dal movimento degli studenti del ‘68. Erano anni in cui mi chiedevo: perché i teatri sono vuoti?

Perché i miei amici non vanno a teatro? Ho sempre rifiutato la ghettizzazione. Sono stato un emigrante anche io e ho subìto quella condizione. Poi con il tempo ho capito che siamo tutti profughi di qualcuno e un po’ discriminati. C’è sempre un Sud nel mondo”.

Artista poliedrico di sangue mediterraneo, nativo di Cairano, in provincia di Avellino, emigrato in Belgio con la famiglia quando era ancora bambino. Lì si è formato alla scuola della commedia dell’arte e del teatro popolare, che contraddistingue ancora oggi

la sua opera creativa. “Il teatro mi ha salvato la vita. Penso sempre al mio paese, Cairano.

Oggi è abitato da 360 anime, un tempo erano 3 mila. Bisogna fare qualcosa per trattenere i giovani.” Nel 2000 il regista fonda la Franco Dragone Entertainment Group, con ambizioni su scala mondiale e imminenti progetti a Parigi, Dubai, in Indonesia, in Brasile (dove curerà le cerimonie di apertura e di chiusura dei Mondiali di Calcio 2014) e in Cina continentale, dove sta costruendo 5 teatri. “L’Opera mi ha conquistato. La mia Aida è intimista, atemporale. Vengo dalla scuola di Peter Brook e Bob Wilson: fanno parlare il

palco, che è il vero narratore. Il mio lavoro ricorda i quadri di Francis Bacon. Compongo delle immagini che pensano e che parlano.

Ho preso delle corde che mi servono per creare delle colonne. È come quando da piccoli si plasmano le forme con la creta, la costruzione nasce dal gioco. La mia Aida è un lavoro pacifista sulla paura e sull’angoscia, un’opera su un mondo che affronta l’ignoto.

I nostri giovani sono senza lavoro e sembrano senza futuro. Siamo coinvolti da conflitti che ci atterriscono. Le guerre calpestano l’onore e la dignità di uomini e donne. In scena ho aggiuntodelle figure che non appaiono nel testo originale. Sono figuranti che chiamo “gli invisibili” e rappresentano gli uomini senza parola. La mia Aida non è spettacolare, ma estremamente attuale, senza essere modernista, ambientata in un posto non specifico.“

ESTETICHE DEL MISTERO

 

Dal nuovo circo alla nuova magia di Raffaele De Ritis

L’illusionismo è l’arte teatrale di simulare capacità fuori dalle regole naturali; il circo è il regno in cui le leggi della natura vengono spinte al limite delle loro possibilità. L’uno con la finzione, l’altro con la realtà, entrambi con l’esagerazione, hanno rappresentato, per secoli, una porta sul mistero.
Circo e magia sono state per lungo tempo le forme più popolari dello spettacolo: il circo arrivando dovunque con i suoi tendoni di meraviglie; i maghi diventando, come disse Orson Welles “i veri signori della scena”: protagonisti della vita teatrale del ‘900, con tournées incredibili da Singapore a Buenos Aires, e invenzioni continue ad arricchire la loro arte di numeri sensazionali. Per gli storici, la magia in teatro è stata il più potente mondo di fantasia conosciuto dall’uomo prima degli effetti speciali moderni: tra donne in fiamme, scheletri danzanti, prigioni piene d’acqua, piogge inesauribili di bandiere colorate o evocazioni di fantasmi sul palcoscenico.

È inutile ripetere come il cinema, la tv e il divertimento tecnologico abbiano reso desueti circo e magia, creando seri problemi di identità della forma. Il circo, lo sappiamo, ha motivato negli ultimi decenni una propria identità contemporanea. La magia, in fuga dai teatri, per un po’ di tempo ha trovato rifugio nei night-club, favorendo lo sviluppo di numeri più intimi, legati alla destrezza manuale con carte da gioco e colombe, o al mentalismo. 
Negli anni ‘80, l’espansione di Las Vegas e del mondo televisivo hanno incoraggiato un rilancio delle illusioni sempre più grandi e spettacolari, in cui però, tra effetti laser e ballerine, poco spazio rimaneva per la bellezza del mistero. Nel frattempo i maghi hanno diffuso la loro arte nella vita sociale e ricreativa: dopo la musica, forse la magia e l’hobby artistico più diffuso al mondo, molto più della giocoleria. Il mercato specialistico di editoria manualistica, didattica video e accessori è un business sterminato e planetario. Ciò ha creato il fenomeno dei club magici, e una forte ibridazione tra professionisti e dilettanti. Se in questo modo l’illusionismo è progredito notevolmente nelle soluzioni tecniche e di abilità, l’attenzione verso l’effetto ha snaturato l’essenza artistica e il mistero.
L’apparente facilità di accesso alla comunità magica, ha creato una diffusione di prestigiatori dalla modesta preparazione artistica, che hanno spo
polato in feste private e piano bar. Per ragioni diverse, la perdita di profondità artistica è un po’ simile alla crisi estetica del circo classico negli anni ‘80.

La magia è oggi oggetto di parecchi esempi di evoluzione artistica. La riflessione ha avuto inizio negli Stati Uniti, dove del resto la forma è più popolare che altrove, anche a livello amatoriale. Dagli anni ‘80 il duo Penn e Teller è emerso dall’universo del comedy e della giocoleria. Sono diventate due icone pop della controcultura americana, basando i loro spettacoli su una riflessione critica e paradossale sul tabù del trucco, spesso rivelato, o riportando in magia la tradizione di shock e violenza cruda, ma con l’accessibilità dell’umorismo e la seduzione della satira sociale. Oggi sono due superstar di mercato, dividendosi agevolmente tra uno show a Las Vegas e serie televisive contro i luoghi comuni della società.
Il prestigiatore e collezionista Ricky Jay ha legato la propria esperienza di mago classico al drammaturgo David Mamet, dando dignità teatrale e drammaturgica a un repertorio secolare, a metà tra performance, bibliofilia, arte con
temporanea. Jay è oggi oggetto di film d’essai e racconti di scrittori.
In Europa il primo personaggio interessante è stato dagli anni ‘90 il prestigiatore-antiquario Christian Chelman, belga: oggi il suo straordinario talento tecnico, unito a doti di storyteller e collezionista di oggetti occulti di ogni epoca, ha creato l’universo parallelo del “Surnateum”, museo di storia soprannaturale, in cui attraverso l’illusionismo e l’uso teatrale di autentici reperti inestimabili, si opera una rilettura magica dell’intera storia umana.
Nel Regno Unito, da oltre un decennio il mentalista Derren Brown ha rivoluzionato il genere, divenuto una vedette popolare pur con un lavoro di ricerca, creando lavori teatrali e serie televisive dalla notevole estetica teatrale.

Da qualche anno in Francia si sono iniziati a disegnare i tratti di una “nouvelle magie”, il cui motore pare l’artista e studioso Raphael Navarro. È un tentativo di capire se l’illusionismo possa essere un nuovo crocevia di linguaggi, in spettacolo o in installazioni. Nelle ricerche di questo movimento, è interessante capire, ad esempio, cosa accade al nostro rapporto con la forza di gravità, se le palline sospese nel vuoto da un giocoliere a un certo punto restano a mezz’aria per qualche secondo in più; o se lo slancio di una danzatrice può diventare una levitazione vera e propria. Da questo universo, sono emersi esempi di successo: come il manipolatore Yann Frisch, che con la sua piccola pièce esistenzialista di otto minuti, munito solo di un bicchiere e una palllina, ha vinto il primo premio al FISM, il campionato mondiale dei maghi, facendo breccia in un universo estremamente convenzionale e stereotipato; oppure Etienne Saglio, il cui più ampio lavoro drammaturgico riesce a dare vita a oggetti e materiali inanimati, unendo l’illusionismo a pantomima, giocoleria e scultura.
In Italia, il panorama della magia è comunque vivacissimo, seppur sul fronte tradizionale e in espressioni diverse. Nella percezione popolare è certamente Arturo Brachetti ad aver dato dignità teatrale al genere, pur non togliendo signifcato a icone dell’immaginario collettivo come Silvan. Figure provenienti dal mondo della magia hanno contribuito a rinnovare il cabaret: si pensi a Raul Cremona, Forest, Luc e Tino, o Francesco Tesei portando il mentalismo a teatro. Grandi illusionisti all’americana si sono imposti con successo anche sul mercato mondiale: Gianni Mattiolo, Erix Logan, Gaetano Triggiano, fino ad Alberto Giorgi, del quale si apprezza una ricerca estetica meno convenzionale, con la costruzione di un personaggio “steampunk”. Per quanto riguarda i legami col mondo circense, per ora si è fermi allo spazio dato ad illusionisti sotto i tendoni tradizionali: è il caso di Ottavio Belli, a cui i circhi affidano l’intera seconda parte dello spettacolo.
Tentativi di programmazione teatrale, come Supermagic o il più intimo Varietà delle Meraviglie (entrambi a Roma), dimostrano un ampio interesse del pubblico. Da non sottovalutare anche la crescita di livello degli appuntamenti del settore: l’annuale Masters of Magic a S.Vincent è ormai un riferimento mondiale. Quest’anno il Festival Mirabilia ha provato a tematizzare con la “nouvelle magie” la città di Cherasco, tra classicità e innovazione: magia di strada, lo show di Luc e Tino, compagnie di ricerca come Duos Habet, momenti di confronto, il tutto all’ombra dello straordinario museo della magia appena inaugurato dal Mago Sales. Un importante finestra sulla nouvelle magie si avrà nel cartellone di Torinodanza 2013-14. L’affidamento all’Italia del prossimo campionato del mondo FISM (a Rimini, Luglio 2015) vedrà confluire almeno tremila maghi, con importanti spettacoli, seminari e occasioni di confronto. L’inserirsi dell’appuntamento nella piena stagione italiana dei festival di circo contemporaneo (Mirabilia, Grugliasco, Funambolika), potrebbe costituire un’occasione esplorativa non indifferente. 

Più informazioni su alcuni degli artisti contemporanei citati:
Ricky Jay www.rickyjay.com
Penn and Teller www.pennandteller.com
Christian Chelman www.surnateum.org
Raphael Navarro http://cie1420.free.fr/
Yann Frisch www.yannfrisch.com
Derren Brown www.derrenbrown.co.uk

Articolo pubblicato su Juggling Magazine, n. 60, settembre 2013

C’ERA UN GRANDE CIRCO MAGICO

articolo pubblicato su Juggling Magazine, n. 58, marzo 2013

 

Non molti tra i lettori avranno conosciuto il lavoro di Jerome Savary, regista, attore, autore, musicista e capocomico scomparso il 5 marzo a 70 anni. Ma è probabile che, come nelle complesse infinite combinazioni della storia, senza di lui e il suo lavoro forse i mestieri di cui ci occupiamo e su cui riflettiamo non esisterebbero, almeno così come sono. Tralasciando la carriera teatrale di Savary (circa duecento regie di prosa e lirica in tutto il mondo), qui è l’epoca dei suoi esordi che ci può essere utile ricordare: quegli anni ’70 francesi in cui amiamo mitizzare, ormai con spirito quasi biblico, una serie di fenomeni: le radici del circo contemporaneo, delle scuole di circo, del teatro urbano e della tensione tra artista non convenzionale e città. Bene, si può dire che queste tre o quattro cose Jerome Savary le abbia in qualche modo inventate.

«Valore culturale: termine razzista secondo cui certi artisti vanno protetti poiché meriterebbero più di altri.»

Si rifletteva, sullo scorso numero, sul panorama delle arti urbane e della sua complessità. Quando, all’alba degli anni ’70, Savary e la sue troupe scendevano in strada a recitare, suonare, sputare fuoco e travestirsi, l’unico rapporto con l’istituzione era con le cariche della polizia. Savary giunse allo spettacolo per caso attraverso un percorso paradossale, formatosi tra gli ultimi surrealisti e il primo Jodorowsky, dopo un’adolescenza disparata, al fianco di Kerouac e Monk. Come dire: per generare una visione più che i “progetti” contano le influenze, le accumulazioni, gli incroci. Insomma, il percorso.

«L’improvvisazione sta all’attore come il jazz al musicista; è la pratica indispensabile che apre all’artista le porte della libertà.»

Oggi la nostra voglia di catalogare, strutturare, legittimare, si scontra con la lezione dimenticata di un’epoca in cui dietro la genesi del “teatro di strada” o del “nuovo circo” l’unica spinta era la generosità del legame con la gente, unita alla voglia di imparare e mischiare più cose, senza porsi impegni di “contaminazione”. Il teatro urbano di Savary, che nei primi anni ’70 prenderà il nome di “Grand Magic Circus” (il primo caso celebre della parola circo oltre gli ambiti della tradizione), si esprimeva apertissimo a tutto, senza scelte di campo: dall’animazione per l’infanzia alla protesta politica, all’inaugurazione commerciale, all’evento istituzionale.

«Da giovane sono stato considerato artista d’avanguardia, mentre non facevo che riprendere tecniche antiche, come quelle della commedia dell’arte. Non amo la parola avanguardia né quelli che vi si legano.»

Tutto andava bene purché riportasse lo spettacolo alla dimensione primaria della festa: i salti mortali, le paillettes, le trombe e i tamburi, i coriandoli, i petardi, i monologhi d’attore, il cerone del clown, le giacche di paillettes, le danze latine e non, e tanti culi e tette al vento mentre nasceva il dibattito sulla pornografia. Tra l’altro, la compagnia di Savary fu la prima a diffondere gli atti di protesta “nudisti”, ereditati oggi ad esempio dal gruppo Femen. Da New York, a Londra, da Parigi a Roma la troupe di Savary riportava la gioia primordiale, infantile, animalesca dell’atto teatrale, musicale e circense, raccogliendo e ispirando i più disparati allievi allora anonimi: da David Bowie a Terry Gilliam, da Lindsay Kemp a Maurizio Nichetti. Le sovvenzioni? Pressoché in natura: un ammiratore come John Lennon poteva regalare una fonica usata. Inoltre fu nel “Magic Circus” che apparve per la prima volta l’emergenza moderna della “scuola di circo”: il bisogno di scoprire i segreti dell’acrobazia per arrivare meglio al cuore della gente. L’unico posto dove impararli è il retro del Cirque d’Hiver, al mattino, con i vecchi circensi. Solo qualche anno dopo la palla passerà ad Annie Fratellini e tutto il resto.

«Oggi l’80 per cento di quelli che scelgono questo mestiere lo fanno dopo le scuole superiori. Niente tempo di imparare la musica, la danza o la dizione. Ci si butta con la presunzione come unica arma.»

Gli spettacoli del Magic Circus erano infantili nell’immediatezza quanto di un’estrema complessità per la ricchezza bulimica di contenuti e tecniche: con titoli come “Da Mosé a Mao”, “Zartan, il fratello sfortunato di Tarzan”, “Gli ultimi giorni di Robinson Crusoe”, si spaziava in tutte le declinazioni dell’Eden o dell’esotismo come dimensioni primarie dell’umanità, attraverso, jazz, strip tease, acrobatica, illusionismo, rivista, gag da fumetto, clown e naturalmente il coinvolgimento del pubblico.

«Oggi ci vogliono da sei a otto settimane per una creazione. Shakespeare impiegava dodici giorni per fare lo stesso lavoro.»

Dalla strada, Savary è il primo anche nel passare allo chapiteau, quasi a voler mantenere un rapporto effimero con la città; mentre crescono i fans: tra una bevuta con Che Guevara e le visite di Fellini che torna quattro volte di fila. Finita la spinta degli anni ’70, arriva l’era dell’istituzione. Da una parte, il Magic Circus si dissolve, e Savary diventa un geniale regista a capo di grandi enti lirici o di prosa, portandovi dentro quello spirito circense (in ogni suo spettacolo ci sarà sempre per capriccio un bambino o un animale). Dall’altra, su quella spinta, il “teatro di strada” nasce come genere, iniziando a reclamare legittimità, così come le scuole di circo. Intanto l’estetica del Magic Circus si riconoscerà con chiarezza in molte troupe dei primi anni ’80 (dal Circo Roncalli in Germania, al Cirque du Soleil in Canada).

«La “creazione collettiva” è una gran presa in giro. Rare sono quelle che riescono senza un capitano.»

Dagli anni ’80 in poi Savary, salutando la strada e il tendone per portare la spontaneità della festa nel teatro ufficiale, lascia alle sue spalle una specie di percorso inverso. Gli artisti di strada e di circo che iniziano a emergere, lastricano il loro percorso di “contemporaneo”, “urbanismo”, “scrittura gestuale”, “percorso di formazione”, “residenza”. Scompaiono i colori, i coriandoli, lo swing, il cerone, la gioia. Di nudo restano solo i piedi di acrobati in pigiami sbiaditi che si tormentano tra cacofonie e penombre. L’utopia di circus é meno grand e meno magic. Un vago ricordo carnevalesco di quell’epoca rimane in qualcuno dei primi collage industriali del Cirque du Soleil.

«In Francia, invece di praticare, si teorizza formando così generazioni di intellettuali che rifanno il mondo invece di bagnarsi la camicia in scena.»

Una lezione di Savary? La più grande, forse, quella di lavorare seriamente senza prendersi sul serio. Con la capacità di contrapporre alle proteste degli “intermittents du spectacle” la dignità di una generazione di signori della scena, estremi, popolari e festosi (la stessa di Bartabas, Jean Baptiste Thierrée, Ariane Mnouckhine), forse poi divenuti baroni delle istituzioni, ma testimoni di un’epoca in cui ci si aspettava più dal pubblico che dallo Stato. Le citazioni sono di Jerome Savary, tratte da varie interviste e scritti dal 2000 a oggi. Raffaele De Ritis è stato allievo e assistente di Jerome Savary.

Image

RAFFAELE DE RITIS

Raffaele De Ritis (1967) regista e storico attivo fin dagli anni ’80 in Europa e Stati Uniti. Ha creato spettacoli per Ringling-Barnum, Cirque du Soleil, Big Apple Circus, Franco Dragone, ed é consulente creativo di Disneyland Paris. Ha diretto David Larible, Arturo Brachetti, Raul Cremona, Aldo-Giovanni- Giacomo. E’ stato tra i pionieri del “Florilegio” Togni e della serie “Circo” di Raitre. Autore di numerosi saggi e opere sulle arti circensi e sull’illusionismo, tiene conferenze in tutto il mondo. Ha tenuto docenze all’Università La Sapienza e Tor Vergata, il CNAC, l’ESAC, Vertigo, ed é co-fondatore del Nouveau Clown Institute. E’ stato membro della commissione consultiva circo per il Mibact e presidente dell’Ente Manifestazioni di Pescara, dove nel 2007 ha fondato di “Funambolika – Festival Internazionale del Nuovo Circo”.   www.raffaelederitis.com

Image
CONTATTI:

Direzione e segreteria
giocolieriedintorni@hotmail.com

Amministrazione
Giocolieriedintorni.ufficio@gmail.com

Sitoweb propgettato e realizzato da:
Studio Bolognesi and partners

Image

Segui gli altri progetti di Giocolieri e Dintorni

Image
Image
Image
Image
Contatti

Direzione e segreteria
giocolieriedintorni@hotmail.com

Amministrazione
Giocolieriedintorni.ufficio@gmail.com

Sitoweb propgettato e realizzato da:
Studio Bolognesi and partners

Image
Segui gli altri progetti di Giocolieri e Dintorni
Image
Image
Image
Giocolieri & Dintorni ASD - viale della Vittoria 25, - 00053 Civitavecchia (RM) - CF/P.IVA 06894411005 - ©2025 Giocolieri & Dintorni ASD - Tutti i diritti riservati.
Amministrazione trasparente Privacy Policy Cookie Policy