Astley' Place Blog

A cura di Raffaele De Ritis

CIRCO E LIRICA, due insospettabili gemelli

articolo pubblicato su Juggling Magazine, n. 62, marzo 2014

 

Niente forse é più arcaico e universale del gesto acrobatico e del canto. L’uno profano, l’altro più legato al sacro. Il circo e la lirica sono da sempre due forme più vicine di quanto non si pensi. Si basano sulla ricerca dell’estremo virtuosismo, l’eccesso a dismisura, l’esaltazione della meraviglia. Entrambi i generi coinvolgono un pubblico di massa senza barriere, conciliando tutte le arti come pretesto allo spettacolo puro. Circo e lirica sono storicamente due insospettabili gemelli. Nascono insieme, poiché la loro forma matura appare nello stesso momento: alla fine del XVIII secolo, all’alba della società industriale. Loro padre comune é il disordine anarchico degli spettacoli popolari; loro madre la rigidità della censura che prima o poi ha l’effetto di rendere ufficiale l’illegale. Nella seconda metà del Seicento, il teatro di fiera fa maturare spettacoli ibridi, a cui é vietato per legge l’uso della parola e della narrazione, per non contrastare i pochi tea- Allo stesso modo, anche a Londra le origini del circo e della lirica coincidono. Il Sadler’s Wells, aperto verso la fine del ‘600, era un luogo ibrido in cui si alternavano opere musicali, commedie e funamboli. È a uno stesso impresario, John Rich, che si devono sia la prima opera musicale moderna, The Beggar’s Opera di John Gay (1728), che, pochi anni prima, il battesimo del genere della pantomima (1716), al cui interno nasce presto la figura del clown. Questo mentre Philip Astley propone il primo circo equestre della storia (1768), presto maturato in un anfiteatro coperto dove architettura, drammaturgia, scenotecnica avvicinano la neonata arte circense ai codici dell’opera lirica. Nel primo ‘800, l’Astley Amphiteatre é uno dei tre più grandi teatri di Londra; uno di essi, il Covent Garden ancora oggi teatro d’opera, vede i successi di Joe Grimaldi, il primo clown moderno. Non dissimili le vicende a Paritri ufficiali privilegiati. Londra e Parigi sono i due grandi laboratori dello spettacolo moderno. Baracche di illusionisti, acrobati, mostratori di animali, farse mimate e cantate, impiegheranno oltre un secolo per maturare nei generi codificati fino ad oggi. Se l’arte lirica emerge inizialmente nei teatri di corte, lontano dal popolo, é frequente vedere nelle prime opere numeri acrobatici per animare gli intermezzi. Nelle fiere del ‘700, mimi e acrobati iniziano a inventare nuovi generi per contrastarli. Camminando sulle mani o sul filo, essi riescono a raccontare una storia senza incorrere in divieti; e anche l’uso del canto emerge come pratica fuorilegge. Non potendo parlare né cantare, gli artisti scrivono i versi su dei cartelli, che vengono letti cantando da finti spettatori in platea. Espedienti di questo tipo, nati nelle baracche, fanno nascere l’opéracomique, il genere in cui poi trionferanno Mozart e Rossini. 

Allo stesso modo, anche a Londra le origini del circo e della lirica coincidono. Il Sadler’s Wells, aperto verso la fine del ‘600, era un luogo ibrido in cui si alternavano opere musicali, commedie e funamboli. È a uno stesso impresario, John Rich, che si devono sia la prima opera musicale moderna, The Beggar’s Opera di John Gay (1728), che, pochi anni prima, il battesimo del genere della pantomima (1716), al cui interno nasce presto la figura del clown. Questo mentre Philip Astley propone il primo circo equestre della storia (1768), presto maturato in un anfiteatro coperto dove architettura, drammaturgia, scenotecnica avvicinano la neonata arte circense ai codici dell’opera lirica. Nel primo ‘800, l’Astley Amphiteatre é uno dei tre più grandi teatri di Londra; uno di essi, il Covent Garden ancora oggi teatro d’opera, vede i successi di Joe Grimaldi, il primo clown moderno. Non dissimili le vicende a Parigi: il Cirque Olimpique dei Franconi (eredi parigini di Astley), fa concorrenza all’Opera, ispirandosi allo stesso patrimonio mitologico e letterario in cui pescava la lirica; fino a trasformarsi dopo il 1847 nel Theatre du Chatelet, ancora oggi il secondo teatro lirico di Parigi. Nel 1843 a Londra il Theatre Regulation Act liberalizza gli spettacoli popolari; così come nel 1865, a Parigi il decreto sulla libertà dei teatri ne ufficializza ogni forma. Sono trascorsi due secoli di ingegno e sopravvivenza. L’espansione delle classi medie vede finalmente nel circo e nell’opera i due templi in cui liberare l’immaginazione: le produzioni circensi e operistiche permettono di viaggiare nelle lontane colonie, vivere le vicende di guerrieri e divinità del mondo antico. La farsa e la tragedia si alternano nel melodramma operistico come nel reale rischio del circo. In Italia, i teatri d’opera hanno ospitato regolarmente le compagnie acrobatiche. Il Teatro Argentina di Roma (in origine a vocazione lirica) sembra ospitasse scuderie sotterranee per le compagnie equestri. La prima scuola di circo occidentale, quella di Annie Fratellini, già dagli anni ‘70 vede i propri allievi regolarmente coinvolti nelle regie dell’Opera di Parigi; acrobati e mimi sono regolarmente richiesti da registi lirici di tutto il mondo. Se “I Pagliacci” di Leoncavallo é l’opera a tema circense per antonomasia (con puntuale impiego di acrobati e mangiafuoco), l’immaginario del tendone e degli acrobati ha spesso dato vita a regie e scenografie per titoli; Dario Fo ha coinvolto clown e acrobati nel suo “Barbiere di Siviglia”. In epoca recente, allievi della scuola Flic hanno partecipato alla Turandot al Teatro alla Scala nel 2011, con la regia di Giorgio Barberio Corsetti; quasi ogni edizione dell’”Aida” all’Arena di Verona vede puntualmente il talento equestre della famiglia Togni; la scuola Cirko Vertigo é apparsa in “Thais” di Massenet al Regio di Torino (2008) per la regia di Stefano Poda, in un’integrazione esemplare tra lirica e arti circensi. Il Teatro Pergolesi di Jesi ha ambientato nel mondo circense l a “Serva Padrona”. C’è poi Daniele Finzi Pasca, regista formatosi nel circo, la cui firma appare in sempre più opere nel mondo. Di recente, il Massimo di Palermo ha coinvolto clown e acrobati nel Feuersnot di Strauss diretta da Emma Dante; e a Busseto l’Elisir d’Amore di Donizetti si ispira ai quadri circensi di Botero, coinvolgento acrobati come i Nanirossi. Ed é proprio all’interno di un ente lirico, il Regio di Torino, che la rassegna Torinodanza é diventata in Italia una vetrina circense. In fondo, i cavalli di Bartabas su scene sacre come il Regio di Torino, lo Chatelet e il Sadler’s Wells di Londra, non fanno altro che richiamarsi ai tempi senza leggi né generi di Astley e Franconi, inseguendo il cerchio della modernità iniziato da quasi tre secoli. 

 

AIDA

regia di Franco Dragone

 

“Mi do sempre uno scopo. Un giorno ho lasciato la prosa classica per fare un teatro più politico. Vengo dal movimento degli studenti del ‘68. Erano anni in cui mi chiedevo: perché i teatri sono vuoti?

Perché i miei amici non vanno a teatro? Ho sempre rifiutato la ghettizzazione. Sono stato un emigrante anche io e ho subìto quella condizione. Poi con il tempo ho capito che siamo tutti profughi di qualcuno e un po’ discriminati. C’è sempre un Sud nel mondo”.

Artista poliedrico di sangue mediterraneo, nativo di Cairano, in provincia di Avellino, emigrato in Belgio con la famiglia quando era ancora bambino. Lì si è formato alla scuola della commedia dell’arte e del teatro popolare, che contraddistingue ancora oggi

la sua opera creativa. “Il teatro mi ha salvato la vita. Penso sempre al mio paese, Cairano.

Oggi è abitato da 360 anime, un tempo erano 3 mila. Bisogna fare qualcosa per trattenere i giovani.” Nel 2000 il regista fonda la Franco Dragone Entertainment Group, con ambizioni su scala mondiale e imminenti progetti a Parigi, Dubai, in Indonesia, in Brasile (dove curerà le cerimonie di apertura e di chiusura dei Mondiali di Calcio 2014) e in Cina continentale, dove sta costruendo 5 teatri. “L’Opera mi ha conquistato. La mia Aida è intimista, atemporale. Vengo dalla scuola di Peter Brook e Bob Wilson: fanno parlare il

palco, che è il vero narratore. Il mio lavoro ricorda i quadri di Francis Bacon. Compongo delle immagini che pensano e che parlano.

Ho preso delle corde che mi servono per creare delle colonne. È come quando da piccoli si plasmano le forme con la creta, la costruzione nasce dal gioco. La mia Aida è un lavoro pacifista sulla paura e sull’angoscia, un’opera su un mondo che affronta l’ignoto.

I nostri giovani sono senza lavoro e sembrano senza futuro. Siamo coinvolti da conflitti che ci atterriscono. Le guerre calpestano l’onore e la dignità di uomini e donne. In scena ho aggiuntodelle figure che non appaiono nel testo originale. Sono figuranti che chiamo “gli invisibili” e rappresentano gli uomini senza parola. La mia Aida non è spettacolare, ma estremamente attuale, senza essere modernista, ambientata in un posto non specifico.“

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RAFFAELE DE RITIS

Raffaele De Ritis (1967) regista e storico attivo fin dagli anni ’80 in Europa e Stati Uniti. Ha creato spettacoli per Ringling-Barnum, Cirque du Soleil, Big Apple Circus, Franco Dragone, ed é consulente creativo di Disneyland Paris. Ha diretto David Larible, Arturo Brachetti, Raul Cremona, Aldo-Giovanni- Giacomo. E’ stato tra i pionieri del “Florilegio” Togni e della serie “Circo” di Raitre. Autore di numerosi saggi e opere sulle arti circensi e sull’illusionismo, tiene conferenze in tutto il mondo. Ha tenuto docenze all’Università La Sapienza e Tor Vergata, il CNAC, l’ESAC, Vertigo, ed é co-fondatore del Nouveau Clown Institute. E’ stato membro della commissione consultiva circo per il Mibact e presidente dell’Ente Manifestazioni di Pescara, dove nel 2007 ha fondato di “Funambolika – Festival Internazionale del Nuovo Circo”.   www.raffaelederitis.com

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