Le Circonférences di Jean Michel Guy

Sono ricercatore in sociologia al Ministero Francese della Cultura e lavoro su tematiche estremamente varie, incluso il circo, che ho scoperto nel ‘91 realizzando uno studio sulla frequentazione e l’immagine del circo nella popolazione francese. Avevo fatto già molto teatro di strada quando ero giovane, quindi non sono partito proprio da zero nel circo. Ma mi sono presto innamorato di questo ambiente e ho iniziato a scrivere degli articoli, prima di stampo sociologico, poi anche di critica estetica. Sono diventato professore di analisi critica e di estetica del circo nelle scuole superiori di circo francesi (Rosny e CNAC). Proprio al CNAC ho conosciuto due studenti con un progetto di spettacolo che mi interessava molto. Li ho aiutati a formularlo ed  elaborarlo, e insieme abbiamo finito per fondare una compagnia, ritrovandomi nel ruolo di autore e regista. Attualmente continuo a occuparmi di creazione, insegnamento, ricerca sociologica. E dalla necessità dell’insegnamento e di un’attenta analisi  globale dell’ambiente e della politica del circo, ho sentito l’esigenza di costruire dei mezzi per il lavoro con gli studenti e per una sensibilizzazione del grande pubblico, come il dvd sull’estetica del circo contemporaneo. Da due anni ho infine inventato un  nuovo format, che chiamo ‘Circonférences’; si tratta di conferenze-spettacolo che concepisco e metto in scena in partenariato con un artista di ogni disciplina: una ‘circonferenza’ sulla giocoleria, una sul palo cinese, una sul filo, etc. e anche questo è un mezzo per spingere l’analisi su ogni disciplina e al contempo raggiungere un grande pubblico.

Non credo alla immediatezza dell’opera d’arte. È un ideale utopico degli artisti quello di avere degli spettatori non informati, ingenui e allo stesso tempo  totalmente ricettivi. La verità è che ci troviamo in un mondo in cui la mediazione culturale ha un ruolo prioritario, perché uno spettatore non andrà a vedere un’opera d’arte senza avere fatto prima un percorso informativo in cui legge la brochure, decide se lo spettacolo è accessibile, se ci può portare i bambini, etc. La mediazione è al primo posto, e lo sguardo di uno spettatore sull’opera d’arte è già mediato ancora prima di scoprire l’opera. La mediazione è potente e inevitabile, e la responsabilità dei mediatori è enorme. Hanno il potere di indicare “questo è circo” oppure “questo non lo è”. “questa è arte”, “questa non lo è”. A volte sono fedeli alla concezione dell’arte e del circo degli artisti, altre volte vogliono più affascinare, ammaliare il pubblico.  Tuttavia, anche se sono potenti, non esisterebbero se non ci fosse l’opera d’arte. Ritengo che la loro prima missione sia quella di fare capire, di tradurre il pensiero dell’artista. Gli artisti molto spesso prendono in giro il modo in cui vengono classificati, o meglio, detestano le classificazioni. Spesso dicono che non sanno se quello che fanno è circo o non è circo, perchè gli artisti non pensano in termini di categorie, ma in termini di emozioni, di effetti estetici che vogliono produrre, o del rapporto che vogliono istituire col pubblico (empatia, simpatia, forte vicinanza oppure inquietudine, estraniamento, destabilizzazione, interrogarsi). È vero comunque che hanno delle opinioni sull’arte, sul circo, su cos’è, e sanno quello ci cui parlano. Quasi tutti gli artisti di circo hanno fatto una scuola di circo, conoscono la storia e la pratica del circo, i suoi vincoli, lo stato della loro arte, e prendono posizione rispetto alla loro concezione del circo, anche quando si allontana dalla immagine consueta di esso.

Il sociologo americano Howard Becker ha come concetto centrale quello del ‘mondo dell’arte’, ossia: l’arte è il risultato specifico di una negoziazione tra i rapporti di forza di tutte le persone coinvolte, e non solo gli artisti; é una negoziazione permanente. Purtroppo oggi l’artista non ha abbastanza potere, quindi la sua parola è o troppo deformata o troppo formata, ossia messa in un cliché e non in un quadro adeguato. Penso sia estremamente urgente dare molto di più la parola agli artisti nelle istituzioni, che ragionano usando ancora  vecchie categorie. Se si ascoltassero di più gli artisti ci potrebbero essere nuove formule di aiuti, e anche nuove categorie. In tutte le arti c’è sempre un gap culturale tra le convinzioni del pubblico e la ricerca degli artisti, che necessariamente creano partendo da quello che già stato fatto prima di loro, e quindi sono sempre all’avanguardia rispetto alla loro disciplina. Il pubblico invece non é a conoscenza di tutto questo sviluppo. C’è sempre uno scarto, che può variare per le singole arti, e che in alcuni casi credo sia di almeno un secolo! Più avanzata è la ricerca in un campo artistico, più questo scarto aumenta, più la mediazione diventa importante. E l’abc della mediazione è proprio raccontare chi è l’artista. Uno che vive non oggi, ne’ domani, ma ora, che è contemporaneo allo spettatore. Il primo messaggio che deve dare la mediazione agli spettatori è questo: e voi in che tempo vivete? un secolo fa? cinquant’anni fa? gli artisti che creano, creano per voi, per voi adesso. siate contemporanei!! Il secondo messaggio è pedagogico: affinché possiate capire perché l’artista vi parla in questo modo, dovete sapere che la sua arte non parte dal nulla, si é evoluta. E poi ascoltiamo quello che l’artista deve dirci sulla sua creazione, perché  in generale l’artista dice: ‘il mio linguaggio é la mia creazione e deve bastare’, ma non é vero, non basta. Deve dire qual’é la sua preoccupazione principale e perché ha deciso di dirci questo. La ragione può essere molto diversa: la relazione tra esseri umani, sulla coppia, su  un piano politico o intimo. Ma c’è sempre una ragione. È importante vedere le opere, ma anche comprenderne e capirne l’origine e il contesto in cui si inseriscono.

Il ruolo della critica e della ricerca è accorciare questa distanza tra pubblico e artisti, ma anche raccogliere le testimonianze, il pensiero degli artisti e trasmetterlo al pubblico, o ancora aiutare gli artisti a una riflessione sulla loro arte. Il linguaggio non è lo stesso per gli uni e per gli altri. Quello che cerco di fare con le mie  Circonférences è proprio riunire le cose. Il modo di rivolgersi a un pubblico profano non è necessariamente quello usato per rivolgersi agli artisti. Non credo più nella possibilità di un unico linguaggio universale, al contrario, credo che ci debba essere una  arietà di discorsi che sia coerente con la varietà del pubblico, degli spettatori, dei lettori.

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